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Il messaggio del cardinale Gianfranco Ravasi agli agricoltori: lavoro, terra e responsabilità condivisa

Pane e vino, frutto della terra e del lavoro dell’uomo: la testimonianza del cardinale Ravasi

Il cardinale Gianfranco Ravasi

Il cardinale Gianfranco Ravasi

«Vorrei iniziare con una testimonianza personale».
Così il cardinale Gianfranco Ravasi ha aperto il suo intervento rivolto al mondo agricolo, richiamando un momento vissuto poche ore prima, durante la celebrazione liturgica. Arrivato alla preghiera che ogni giorno risuona nelle liturgie – “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo, perché hai dato a noi il pane e il vino, frutto della terra e del lavoro dell’uomo” – il pensiero è andato proprio agli agricoltori e alla possibilità, per lui, di parlare a loro, anche solo brevemente.

In quelle parole, ha ricordato Ravasi, è racchiuso il cuore stesso del cristianesimo: il lavoro dell’uomo che si intreccia con il dono della terra. Pane e vino non sono solo simboli liturgici, ma il risultato concreto di ciò che ogni giorno gli agricoltori rendono possibile. Non a caso, il poeta Paul Claudel scriveva: “Interroga la vecchia terra: ti risponderà sempre con il pane e con il vino”. Una risposta che esiste grazie a chi coltiva, cura e lavora la terra.

Rivolgendosi a una platea che, più di ogni altra, conosce il valore della natura come creato, Ravasi ha sottolineato come il mondo agricolo viva quotidianamente il rapporto con quello che la Bibbia definisce “il grande libro” della creazione, le cui lettere sono le creature stesse. Credenti o non credenti, gli agricoltori conoscono il senso di questa grandezza e di questa responsabilità.

Da qui il richiamo a due passaggi fondamentali della Bibbia. Il primo è legato al Giubileo, l’anno dello Jobel, quando – secondo il Levitico – la terra stessa è chiamata a riposare: niente semina, né mietitura, né vendemmia. Un’indicazione che può apparire paradossale per chi lavora la terra, ma che racchiude un valore profondo: la consapevolezza che la terra è una creatura vivente, legata all’uomo da una sorta di fraternità. Il lavoro umano è essenziale, ma la sua radice affonda nella natura, che va rispettata e custodita.

Non è un caso, ha ricordato il cardinale, che l’uomo nella Bibbia si chiami Adam, termine che rimanda all’Adamà, la terra, l’argilla da cui è tratto. Una parentela profonda che rende ancora più grave ogni forma di devastazione ambientale. In questo senso risuona con forza il messaggio di Papa Francesco: non esistono due crisi separate, una ambientale e una sociale, ma un’unica crisi socio-ambientale complessa.

Il secondo passaggio biblico evocato riguarda il mandato affidato all’uomo: coltivare e custodire la terra. Due verbi inseparabili. Coltivare significa trasformare, intervenire, lavorare; custodire significa tutelare, proteggere, preservare. Ed è proprio in questo equilibrio che il ruolo degli agricoltori appare decisivo, perché più di chiunque altro sono chiamati a coniugare produzione e tutela del creato.

Da qui lo sguardo si allarga al tema del cibo e della sua distribuzione nel mondo, segnata da profonde ingiustizie: pochi con un eccesso di risorse e molti costretti ad attendere le briciole. La terra, però, continua a offrire i suoi frutti, come ricorda la Scrittura: l’erba per il bestiame, le piante coltivate dall’uomo, il vino che allieta il cuore, l’olio che fa brillare il volto e il pane che sostiene la vita.

Il cardinale Ravasi ha infine richiamato l’attenzione di Gesù per il mondo agricolo, presente in modo costante nelle parabole evangeliche, nei semi, nei campi, nei gigli osservati con meraviglia. Un’attenzione concreta, profonda, capace di cogliere anche i dettagli più nascosti della vita quotidiana e del lavoro nei campi.

Concludendo come aveva iniziato, con un tono personale e universale insieme, Ravasi ha voluto affidare agli agricoltori una benedizione antica, aperta a credenti e non credenti, come segno di armonia tra l’uomo e la natura:

Possano le strade venirti incontro.
Possa il vento essere sempre alle tue spalle.
Possa il sole splendere caldo sul tuo viso e sui tuoi campi.
Possa la pioggia cadere lieve sulle tue campagne.
E fino a quando non ci incontreremo di nuovo,
possa Dio tenerti sul palmo della sua mano.

Un augurio che racchiude il senso profondo del lavoro agricolo: custodire la terra, nutrire il mondo e mantenere viva l’alleanza tra l’uomo e il creato.

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